Uno scorcio della Libia di Gheddafi, la Jamaharia, e delle relazioni con l’Italia, in un arco di tempo che arriva fino al destarsi dell’insurrezione nel Paese: una ricostruzione tutta affidata a note e sensazioni personali e di prima mano. Questo è il libro di Francesco Paolo Trupiano, ambasciatore d’Italia a Tripoli dal novembre 2004 al giugno 2010, che inaugura una collana di memorie diplomatiche, Affari Esteri, curata da un altro diplomatico scrittore, Domenico Vecchioni, per le edizioni Greco & Greco.
Nel racconto di Trupiano, tornano fatti e personaggi che hanno segnato e popolato quegli anni di rapporti sempre delicati tra Italia e Libia: gli incontri per concordare il “grande gesto”, cioè l’atto riparatorio preteso dal raìs per riscattare il colonialismo italiano; l’assalto al consolato di Bengasi nel 2006, un’intimidazione criminale; la firma del trattato italo-libico di amicizia e cooperazione nel 2008.

Vi s’incontrano anche i protagonisti della scena politica, Berlusconi, D’Alema, Ciampi, i cui interventi s’incastrano nella successione dei fatti. Da testimone e partecipe di quelle vicende, Trupiano alterna passaggi diplomaticamente cruciali e momenti drammatici a retroscena, aneddoti, episodi che consentono di cesellare gli elementi già acquisiti con la cronaca. Come l’emblematico “Galleggiare”, suggerito all’ambasciatore dall’allora presidente del Consiglio Berlusconi durante una conversazione telefonica: metafora d’un atteggiamento politico che ha caratterizzato quei rapporti Roma-Tripoli. O come il cammeo dei furtivi festeggiamenti per la vittoria italiana nelle semi-finali dei Mondiali di calcio del 2006, spenti dalle forze libiche sulla scorta delle tensioni di quel periodo tra i due Paesi – così che non poterono rinnovarsi la sera della finale -.

Campiture, cioè tratti di colore, dalle quali emerge in chiaroscuro anche la figura di Gheddafi: un uomo “abituato all’esercizio del potere”, come lo definisce l’ambasciatore, risoluto, selettivo negli interessi e ostico con gli interlocutori; e un uomo capace di tenere in scacco i governi occidentali, e in particolare quello italiano, con la singolare commistione di rivendicazionismo, personalismo e scaltrezza politica; ma anche un leader asserragliato nei suoi palazzi, sui quali si è sempre allungata l’ombra di quella Cirenaica dove, nel 2011, sarebbe partita l’insurrezione.
Avvisaglie se ne percepivano, però, molto prima della data d’avvio sancita nelle cronache, il 15 febbraio 2011, e l’ambasciatore Trupiano le percepisce nell’insofferenza per una Jamahria tanto magniloquente quanto distaccata dalla dimensione reale delle piazze e delle tribù.
Sullo sfondo, il lungo filo rosso dei negoziati italo-libici verso un accordo definitivo, che s’intersecano volta a volta con le questioni migratorie ed energetiche, le bravate dei figli del raìs, la vicenda giudiziaria delle infermiere bulgare. L’ ”antiitalianismo” riemerge periodicamente nei discorsi del raìs, per la Giornata della Vendetta, anniversario dell’espulsione di massa degli italiani dal Paese: un sentimento dispiegato o stemperato a seconda dell’andamento delle relazioni tra Tripoli e Roma.

Tra momenti di tensione e curiosità, il tracciato cronistico-diplomatico e già storico dei rapporti Italia-Libia si arricchisce, con questo libro, di un punto di vista nuovo, utile anche a comprendere le dinamiche interne del post-Gheddafi.
Francesco Trupiano, Un ambasciatore nella Libia di Gheddafi, Greco&Greco Editori, collana Affari Esteri, Ottobre 2016.

Maria Teresa Amatulli

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