La pace arriverà dopo un sussulto di guerra: sanguinoso, letale, brutale. I protagonisti del conflitto s’apprestano alla battaglia del Donbass: i russi per conquistarlo, gli ucraini per difenderlo, entrambi per riprendere a negoziare da posizioni di forza. L’Occidente, gli Usa, la Nato, l’Ue, noi comprimari del conflitto – e pure la Cina e altri – non facciamo nulla per cambiare il corso delle cose; anzi, lo incoraggiamo e quasi lo applaudiamo.
La diplomazia s’è praticamente fermata a Istanbul il 29 marzo, quando pareva sul punto di produrre una tregua; s’è resa succube della ‘real politik’ di quanti considerano, cinicamente e – a mio avviso -criminalmente, l’invasione un’occasione per fiaccare il presidente russo Vladimir Putin e forse innescare un ‘cambio di regime’ a Mosca. La battuta a Varsavia del presidente Usa Joe Biden, “Putin non può restare al potere”, era un errore, perché non era previsto che la dicesse, ma aveva un fondo di verità.
Le ultime mosse della Casa Bianca lo confermano: Biden alza di un grado la retorica anti-Putin e definisce la guerra in Ucraina “un genocidio”, come gli chiede di fare da Kiev il presidente ucraino Volodymyr Zelensky; e il Pentagono fa sapere di volere “teatralmente allargare” la gamma di armi fornita all’Ucraina, elicotteri equipaggiati in modo da poter attaccare veicoli russi, blindati Humvee e molti altri sistemi ed equipaggiamenti.
Mentre si apre l’ottava settimana di guerra aperta, l’offensiva russa si sviluppa lungo due fronti: sul terreno, c’è l’occupazione della regione di Donetsk, che passa attraverso la presa di Mariupol e poi di Popasna e l’avanzata in direzione di Kurakhove; al tavolo dei negoziati, c’è, invece, una sorta d’arroccamento.
Tutta colpa di Kiev e dell’Occidente, dice Mosca: l’Ucraina non ha rispettato i patti di fine marzo; e l’Occidente la usa come strumento per raggiungere i propri obiettivi, “a prescindere dagli interessi del popolo ucraino”. Per il Cremlino, “gli ucraini hanno spinto le trattative in un vicolo cieco … e ora le operazioni militari andrà avanti finché non ci saranno condizioni di negoziato accettabili”.
La guerra divide anche i cristiani; Papa Francesco implora la pace, una tregua; il patriarca Kirill predica il conflitto. Nella settimana santa, l’elemosiniere di Francesco, cardinale Konrad Krajewski, arriva a Kiev con un’ambulanza in dono. Ma la decisione vaticana di fare portare la croce insieme da una famiglia russa e da una ucraina nella via crucis del Venerdì Santo al Colosseo, irrita l’Ucraina e appare “inopportuna” alla Chiesa greco-cattolica ucraina.