Ucraina

Che sia la Pasqua cattolica, che sia la Pasqua ortodossa, le cronache di guerra dall’Ucraina portano l’eco di morte delle esplosioni, non quella di speranza delle campane. Martedì, bombe russe sono cadute sul mercato di Kherson, dopo che il presidente russo Vladimir Putin aveva visitato – non è però chiaro quando – il quartier generale russo situato sulla riva sinistra del fiume Dnipro.

Pure il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stato al fronte nei giorni scorsi, ad Avdiivka, uno dei punti più caldi con Bakhmut, dov’è battaglia continua: i mercenari del Gruppo Wagner affermano di avere conquistato altri due quartieri della città in macerie. Gli 007 britannici pensano che le truppe ucraine si stiano ritirando, ma Kiev e i Wagner smentiscono.

Zelensky e il premier britannico Rishi Sunak chiedono che i Paesi della Nato intensifichino e accelerino l’invio di armi all’Ucraina. Londra insiste sulla “guerra lunga”, un mantra dell’Occidente da un anno in qua. Una guerra che, a giudizio di alcuni osservatori, la Russia ha già perso: sul fronte delle operazioni, perché non ha raggiunto i suoi obiettivi; e sul fronte interno, perché il conflitto sta determinando un’involuzione della società, paranoide e nazionalista.

Putin non intende deflettere dall’opzione militare, ma insuccessi e disfatte ne avrebbero intaccato l’autorità sull’élite russa: l’analisi, riferita da media Usa è dell’intelligence statunitense, che però mostra falle e pecche, in questa fase. A Mosca, si teme che l’invasione dell’Ucraina sfoci in una fase di dispute interne e di isolamento internazionale.

La guerra paralizza la diplomazia internazionale, malgrado l’attivismo della Cina. Usa e Ue faticano a prendere atto che Pechino è ormai protagonista inevitabile sulla scena mondiale, politica ed economica, diplomatica e militare; e che tali pretendono di essere, nella sua scia, l’India di Modi, ormai divenuto il Paese più popoloso al mondo, alla presidenza di turno del G20; il Brasile di Lula, che a Pechino formula, in sintonia con Xi, critiche agli Usa (“Non vogliono la pace”); e il Sudafrica, che contesta la linea di Washington – sanzioni alla Russia e armi all’Ucraina -.

I ministri degli Esteri del G7, riuniti in Giappone, sventolano ‘cartellini gialli’ alla Cina, che pone “una crescente minaccia” alla sicurezza di Taiwan, ed alla Corea del Nord, che ha ripetutamente testato missili a lunga gittata; e ribadiscono la volontà di rafforzare il sostegno all’Ucraina e colpire la Russia con ulteriori sanzioni.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.