Ucraina

La via della pace in Ucraina non transita per Hiroshima, dove i Sette Grandi del Mondo Occidentale si sono incontrati dal 19 al 21 per l’annuale Vertice. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che è ormai divenuto un frequentatore seriale di tutte le assise internazionali, dopo esserne stato l’ospite (virtuale) fisso l’anno scorso, sostiene che la “la pace è più vicina” dopo la riunione, ma lui misura tutto in funzione delle armi che gli vengono promesse – in Giappone ha finalmente ottenuto, almeno sulla carta, gli aerei F-16 -.

Ben diverso l’atteggiamento del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, cui Papa Francesco affida il tentativo di mediare tra Kiev e Mosca. Parlando all’assemblea dei Vescovi italiani, Zuppi dice: “Chiedere la pace per non vuol dire evitare di schierarsi. Servono sforzi creativi”. Per ora, però, la diplomazia vaticana non trova sponde

Di ritorno dal Giappone, Zelensky paragona la devastazione di Bakhmut, in russo Artemivs’k, città nell’Ovest del Donetsk contesa da mesi dai russi agli ucraini, alla distruzione sofferta da Hiroshima, dove, il 6 agosto 1945, venne sganciata la prima bomba atomica. Ma Zelensky nega che Bakhmut sia caduta in mani russe ad opera dei mercenari del Gruppo Wagner, che ne rivendicano la presa. Invece, il presidente russo Vladimir Putin ammette che “la Russia sta passando momenti difficili”, ma – aggiunge – “ciò porterà a un forte consolidamento”.

Se confermata, l’occupazione di Bakhmut sarebbe il primo successo militare russo di quest’anno, anche se la città, che aveva 75 mila abitanti prima della guerra, ha assunto un significato simbolico ben superiore alla sua rilevanza strategica. Mosca ha perduto nella battaglia per la sua conquista uomini e mezzi in enorme quantità, senza stroncare la resistenza ucraina andata al di là delle attese. Ancora ora, i comandi di Kiev. pur ammettendo di controllare “una parte insignificante” dell’abitato, sostengono di avanzare intorno alla località.

E c’è chi porta il conflitto in terra russa, ucraini o ‘patrioti’ anti-Putin che siano. Dopo una battaglia sul suo territorio durata 24 ore, Mosca, martedì, ha annunciato di avere “liquidato” le forze che, muovendo dal confine ucraino, avevano compiuto un’incursione nella regione di Belgorod: “Nazionalisti ucraini”, per il ministero della Difesa russo; “Partigiani russi”, per le fonti ucraine, appartenenti alla Legione per la libertà della Russia – per il Cremlino, un’organizzazione terrorista – oppure al Corpo dei volontari russi, inglobato nelle forze armate ucraine. Nell’operazione, condotta con droni, razzi, blindati e mortai, un civile sarebbe stato ucciso ed una dozzina feriti; una trentina le case distrutte, nove i villaggi evacuati; settanta i nemici ‘neutralizzati’, di cui però non v’è traccia nelle immagini disponibili. Le forze russe cono intervenute con l’aviazione e l’artiglieria.

Sull’intera vicenda rimangono molti interrogativi. Una nota giornalista anti-Putin, Yulia Latynina, sulla testata indipendente Novaya Gazeta, esprime dubbi sulla matrice dell’operazione. Ci si chiede se essa, sconfessata da Washington, sia parte dell’annunciata, e mai lanciata, controffensiva ucraina.

Sul fronte diplomatico, è in arrivo a Mosca il mediatore cinese Li Hui, dopo la scorsa settimana era a Kiev. Il premier russo Mikhail Mishustin è invece stato in Cina: a Shanghai, a un business forum bilaterale con ben 1.200 dirigenti di imprese di Stato e private russe: e a Pechino, dove l’ha ricevuto anche il presidente Xi Jinping.

E c’è l’intesa per prorogare di due mesi la ‘pace del grano’ che consente all’Ucraina di esportare cereali da tre porti sul Mar Nero.

Ai rapporti fra Russia e Stati Uniti, non giova la decisione del tribunale del distretto di Lefortovo, che ha prolungato di tre mesi, cioè fino al 30 agosto, l’arresto del giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, incarcerato a fine marzo e accusato di spionaggio. “Liberatelo immediatamente: il giornalismo non è un crimine”, chiede il portavoce del Consiglio per sicurezza nazionale Usa John Kirby.

G7: i Grandi dell’Occidente uniti contro Russia e Cina
Al Vertice del G7 di Hiroshima in Giappone, i leader dei Grandi, in una dichiarazione congiunta, ribadiscono la volontà di essere al fianco dell’Ucraina “fin quando sarà necessario”. E sono pronte nuove misure per limitare la capacità della Russia d’alimentare l’invasione. Dopo mesi di riluttanza, il presidente Usa Joe Biden attenua le remore alla fornitura a Kiev di F-16 da parte di Paesi Nato e assicura sostegno all’addestramento dei piloti.

L’escalation del conflitto in Ucraina, dunque, procede, nonostante i Grandi dell’Occidente si vedano in un luogo che ispira prudenza, oltre che fermezza. Zelensky evoca proprio l’olocausto nucleare, per chiedere sostegno di fronte all’invasione. Il presidente ucraino, sulla via del G7, è anche andato al Vertice della Lega araba: segnali di fiducia, ai suoi alleati e al proprio popolo.

Dal G7 di Hiroshima emerge – dice Biden – “un messaggio di determinazione e unità”, a conferma che “Putin non minerà la nostra determinazione”. I Grandi chiedono, per l’ennesima volta, sempre senza esito, il ritiro immediato delle truppe russe. E mentre promettono armi a Kiev e prospettano sanzioni a Mosca, i Sette invitano l’Iran a smetterla di foraggiare con droni la Russia e ammoniscono la Cina a cessare la militarizzazione nell’area Asia-Pacifico.

La tela di fondo del Vertice è proprio la crescente contrapposizione tra i Grandi dell’Occidente e Pechino: le democrazie più ricche al Mondo prospettano unite alla Cina “un cambio di registro” nelle reciproche relazioni, anche se gli Usa smorzano un po’ i toni del confronto. Pechino – riconoscono fonti statunitensi – “potrebbe davvero avere un ruolo” nel risolvere il conflitto ucrano: “E’ bene che il presidente Xi abbia parlato con Zelensky e che abbia nominato un inviato speciale” per cercare una soluzione diplomatica, che deve però tenere conto “del punto di vista ucraino” – cioè, il ritiro della Russia dai territori occupati – e della posizione del G7, dove emerge, comunque, “un desiderio di pace forte”.

Il Vertice, con molti ospiti, fra cui il premier indiano Narendra Modi e il presidente brasiliano Luis Inacio Lula da Silva, è stato, come di consueto, occasione d’un fitto intreccio di contatti bilaterali. Attiva la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, che, per l’emergenza in Emila-Romagna, ha lasciato l’incontro in anticipo, dopo avere ricevuto unanime solidarietà e offerte di aiuto. All’Italia, spetterà organizzare il G7 nel 2024, a giugno, in Puglia.

Anche i programmi di viaggio di Biden sono stati modificati per questioni d’ordine interno: saltate le visite in Papua-Nuova Guinea e in Australia, dove doveva esserci un Vertice del Quad (Usa, Australia, India e Giappone), altro appuntamento votato al contenimento dell’espansione cinese, perché la Casa Bianca deve negoziare con l’opposizione repubblicana un accordo sullo sforamento del debito per evitare un default senza precedenti degli Stati Uniti il primo giugno.

Forse è anche per questo paradosso che i temi più consoni al G7, l’economia, gli scambi, la finanza, sono rimasti un po’ in sordina: la minaccia maggiore alla stabilità delle economie occidentali viene, in questo momento, dalla potenza leader.

Le reazioni di Mosca e Pechino e la questione degli F-16
Le reazioni a caldo di Pechino e Mosca non sono positive. I cinesi giudicano un’ingerenza nei loro affari interni i timori per Taiwan e per “le attività di militarizzazione” intorno all’isola e in generale nel Pacifico. Mosca ritiene che la presenza di Zelensky riduca il G7 a “uno show propagandistico”.

Al Cremlino, c’è la consueta divisione dei ruoli e dei toni. Il portavoce Dmitry Peskov osserva che gli F-16 “non potranno cambiare la situazione sul terreno in modo fondamentale”. Il vice-ministro degli Esteri Alexander Grushko avverte: “Se daranno a Kiev gli F-16, i Paesi occidentali corrono rischi colossali”. L’ex presidente Dmitry Medvedev, vice-capo del Consiglio di Sicurezza nazionale, afferma che più distruttive sono le armi messe a disposizione dell’Ucraina, “più diventa probabile un’apocalisse nucleare”. L’ennesima obliqua minaccia russa di ricorso all’arma atomica, proprio quando l’Orologio dell’Apocalisse mostra che l’umanità è a soli 90 secondi dalla catastrofe nucleare – mai più vicina dalla fine della Seconda Guerra Mondiale -.

Il consigliere Usa per la sicurezza nazionale Jake Sullivan spiega il perché dell’ammorbidimento sugli F-16: i cacciabombardieri servirebbero da deterrente, per scoraggiare Mosca a proseguire l’invasione e indurla al tavolo del negoziato. Il capo della diplomazia europea Josep Borrell dice che l’addestramento dei piloti ucraini ai caccia-bombardieri Usa è già in corso in diversi Paesi, come Olanda, Belgio, Danimarca, Polonia.

Ma la coalizione per gli F-16 a Kiev ha molti buchi. Londra non ha quegli aerei né intende dare all’Ucraina i suoi Typhoon e – a parte l’addestramento – lascia ogni decisione alla Casa Bianca; e anche Germania, Olanda, Belgio frenano, nonostante il ministro degli Esteri di Kiev Dmytro Kuleba sia certo che l’accordo per la fornitura arriverà entro l’anno – ma molti sperano che il conflitto si risolva prima -.

Il Pentagono s’è accorto di avere sovrastimato di tre miliardi di dollari gli aiuti militari all’Ucraina: il che vuol dire che Biden si ritrova con un ‘tesoretto’ per Kiev già autorizzato dal Congresso. L’Ue, invece, ribadisce all’Ucraina pieno sostegno economico e militare, “con la consegna di munizioni e la creazione di una coalizione per i jet da combattimento”. Ma l’Ungheria blocca il nuovo pacchetto di aiuti militari per Kiev, che vale 10 miliardi tratti dalla European Peace Facility. E Politico osserva che l’Ucraina è “l’anello debole dello sfoggio militare” del presidente francese Emmanuel Macron, che incrementa la spesa per la difesa in tutti i settori, ma rallenta l’invio di carri ed aerei a Kiev. Secondo Le Monde, invece, Parigi sta studiando l’invio all’Ucraina di missili Scalp a lungo raggio, equivalenti agli Storm Shadow già forniti dalla Gran Bretagna.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.