“Per evitare lo scenario peggiore”, cioè un conflitto dichiarato, la via della diplomazia resta aperta, dice il presidente Usa Joe Biden, Ma, intanto, è l’ora delle decisioni di Mosca – il riconoscimento delle repubbliche separatiste filorusse di Donetsk e di Lugansk, in Ucraina, e l’invio lì di truppe – e delle sanzioni di Washington e dell’Occidente. Colloqui e negoziati possono attendere: il segretario di Stato Usa Antony Blinken cancella l’incontro con il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov; e del vertice tra Biden e il presidente russo Vladimir Putin, che solo domenica pareva in vista, non si parla più.

La crisi ucraina collassa: cambia il contesto, cambiano le priorità e le prospettive. La mossa di Putin lunedì altera unilateralmente la geografia politica dell’Ucraina; la replica di Biden martedì, che parla “dell’inizio di un’invasione”, “in flagrante violazione della legge internazionale”, sciorina una gamma di nuove sanzioni. Ma, se i precedenti contano qualcosa, l’Abkhazia e la Ossezia nel 2008, la Crimea nel 2014, c’è da dubitare della reversibilità delle decisioni di Mosca, per quanto forti possano essere le pressioni occidentali.

Biden dice che gli Stati Uniti continueranno ad offrire “assistenza militare” all’Ucraina, ma insiste che le misure adottate hanno carattere “difensivo”: “Non vogliamo combattere la Russia, ma difenderemo ogni pollice del territorio Nato”. Ci sono movimenti di truppe – limitati – per rafforzare i presidi nei Baltici.

Il presidente avverte che “difendere la libertà avrà dei costi, anche per noi”, ma “l’aggressione russa non ha giustificazioni” e Mosca potrebbe decidere di lanciare attacchi contro varie città ucraine, “compresa la capitale Kiev”. E la Nato dice che il Cremlino sta progettando un attacco all’Ucraina “su vasta scala”.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelenski invita i suoi connazionali a restare calmi: “Siamo – dice – nel nostro Paese, sulla nostra terra. Non abbiamo paura di nulla e di nessuno”. Il segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg raccomanda all’Ucraina di non cercare lo scontro militare.

Il no della Germania al Nord Stream 2 è il segnale che l’Europa si allinea alla scelta di Washington di alzare il livello dello scontro con la Russia, economico, politico, diplomatico, nonostante sia consapevole che ne pagherà lei, e non l’America, le conseguenze. La scelta muscolare fatta da Putin lascia poche alternative, almeno nell’immediato: è l’ora delle sanzioni, con la diplomazia relegata tra parentesi quadre, fatte salve le formule di rito di Biden.

Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Unione europea, il Canada e il Giappone, tutti annunciano ulteriori sanzioni conto Mosca, già soggetta a misure per l’annessione della Crimea nel 2014; e sanzioni chiamano ritorsioni. Una prima tranche di provvedimenti Usa contro istituzioni finanziarie russe e il debito sovrano russo, e contro esponenti dell’élite russa e le loro famiglie, fra cui il capo dei servizi segreti, è già in vigore.

Mentre la Russia s’affretta a mettere in sicurezza le repubbliche secessioniste, l’Occidente s’affanna a coordinare la propria risposta. La novità più importante è l’abbandono, da parte della Germania, del gasdotto sottomarino Nord Stream 2, destinato a convogliare ai tedeschi gas naturale russo. Erano settimane che Washington sollecitava, Berlino a dire che il gasdotto, del valore di 11 miliardi di dollari e di proprietà di una sussidiaria di Gazprom, sarebbe stato a rischio, se la Russia attaccava l’Ucraina.

 

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.