‘Quo Vadis?’, Europa. A destra, a giudicare dalle elezioni municipali in Spagna e in Gran Bretagna e dai sondaggi in Francia, col minimo comune denominatore d’una diffusa insofferenza alle misure anti-Covid – solo a Londra e dintorni giustificata dal successo della campagna di vaccinazione -. O a sinistra, a giudicare dai risultati del voto in Scozia e dai sondaggi in Germania, dove i Verdi sono in testa, mentre i partiti tradizionali barcollano – la Cdu, orfana di Angela Merkel – o collassano – l’Spd -.
I dati scozzesi e tedeschi possono essere letti, più che in chiave nazionale, in chiave europea: perché Edinburgo vuole tornare nell’Unione, dopo avere dovuto subire una Brexit fortemente osteggiata; e perché i Verdi tedeschi sono oggi la forza più pro-integrazione del quadro politico continentale, consapevoli e convinti che questioni come il contrasto al cambiamento climatico non possono essere efficacemente affrontate su scala nazionale.
Dove andare, l’Unione vorrebbe forse scoprirlo con la Conferenza sul Futuro lanciata, con un anno di ritardo, domenica 9 Maggio, giorno della Festa dell’Europa, a Strasburgo: l’anno di ritardo è quello della pandemia, che ha paralizzato molte iniziative, ma che ha visto l’Ue trovare un sussulto di solidarietà con l’avvio del Ricovery Fund, che per la prima volta comporta uno sforzo di ripresa comune e una condivisione del debito.
Ma, attenuatasi la paura della pandemia e rivelatasi la partita dei vaccini più complicata del previsto tra brevetti e capacità di produzione, l’Unione, anzi i governi dei suoi 27 Paesi membri, sono ora riluttanti a esplorare terreni dell’integrazione ancora quasi vergini, come la sanità e l’immigrazione, nonostante che la pandemia da una parte e le stragi nel Mediterraneo delle ultime settimane dall’altra dimostrino la necessità di attribuire competenze alle Istituzioni europee in questi settori, dove praticamente non ne hanno, nonostante le invocazioni all’Europa che puntualmente si levano ogni volta che c’è un carico di migranti da depositare in qualche porto europeo.
Ma l’Unione ha quasi paura di sollevare il velo del proprio futuro e, soprattutto, esita a coinvolgere cittadini e società civile nei suoi dibattiti e nelle sue decisioni, come dimostra la partenza in sordina e con il freno a mano tirato della Conferenza, al di là del profluvio di retorica di rito a Strasburgo.
Elezioni ed incognite politiche
Pesano le incognite politiche e le scadenze elettorali nei maggiori Paesi dell’Unione. La Germania andrà alle urne per le elezioni federali il 26 settembre: qualunque sia l’esito, s’aprirà un’era nuova perché, per la prima volta dopo 16 anni, quattro elezioni e quattro mandati, Angela Merkel non sarà in lizza per raccogliere l’eredità di se stessa. La Francia andrà alle urne nella primavera del 2022, prima per eleggere il presidente e poi per rinnovare l’Assemblea nazionale. In Italia, dopo l’elezione del presidente della Repubblica, non è esclusa una consultazione elettorale politica anticipata. Infine, in Spagna l’emergere di figure come Isabel Diaz Ayuso, 42 anni, la vincitrice delle regionali di Madrid, una popolare che non chiude alla destra di Voz, può incidere sul quadro nazionale.
I segnali sono contraddittori. Le municipali in Spagna danno la sensazione di un ritorno di fiamma dei partiti tradizionali, l’Alleanza popolare di centro destra e il Partito socialista di centro-sinistra, e del brusco tramonto delle forze emerse negli ultimi anni, la sinistra di Podemos e i centristi vagamente ‘grillini’ di Ciudadanos, mentre l’estrema destra si conferma forza non trascurabile.
Ma in Germania i sondaggi dicono l’esatto opposto: i rilevamenti danno i socialdemocratici al 16%, dietro i Verdi, in testa con il 26% dei voti, e i cristiano-sociali. Più che a conquistare la cancelleria, il leader del partito Olaf Scholz deve cercare di arginare l’emorragia di voti che, da anni, affligge l’Spd (e pure la Cdu). I due maggiori partiti, che un tempo rappresentavano i tre quarti degli elettori tedeschi, oggi raccolgono a stento i due quinti dei favori.
In Francia, la vittoria al primo turno di Marine Le Pen, xenofoba e anti-migranti, sovranista ed anti-europea, appare inevitabile, com’è inevitabile la sua sconfitta al secondo turno, quale che sia l’avversario che l’elettorato repubblicano sosterà – probabilmente ancora Macron.
Quanto alla voglia di Unione della Scozia, essa deve passare attraverso un referendum di secessione dalla Gran Bretagna, che non è affatto scontato si faccia, e poi un negoziato di adesione, che non sarebbe – o sarà – una passeggiata. Perché la Spagna, che ancora non riconosce, dopo 13 anni, l’indipendenza del Kosovo, ‘secessionista’ dalla Serbia nel 2008, non benedice gli smembramenti degli Stati, temendone ripercussioni in Catalogna.