Per 16 anni, è stata la Mutti, la Mamma, più che la cancelliera, di una Germania scossa nelle sue certezze dalla crisi economico-finanziaria del 2008, che acuì le diseguaglianze mai sanate fra l’Est e l’Ovest, e perennemente combattuta fra ambizioni politiche e reticenze ad assumerle. Ma è anche stata la Mutti di un’Europa in cerca di leadership – ruolo che lei si prestava con riluttanza ad assumere – e di direzione.
Angela Merkel, cancelliere dal 2005 a oggi, è al passo dell’addio: le elezioni di domenica 26 settembre segneranno la sua uscita dalla scena tedesca ed europea, perché non s’è più candidata a succedere a se stessa. Era ‘venuta dall’Est’ nella politica tedesca, perché, nata ad Amburgo, era emigrata con la famiglia nel Meclenburgo: ‘delfina’ di Helmut Kohl, capace di battere nel 2005 il cancelliere socialdemocratico uscente Gerhard Schroeder e di vincere poi tre altre elezioni successive,
La Merkel può ancora divenire il cancelliere più longevo negli annali della RFG: Kohl le sta davanti di un centinaio di giorni, ma tutto dipenderà dalla durata dei negoziati per formare il nuovo governo. Angela colleziona record: la più giovane eletta al Bundestag; la prima donna cancelliere e la seconda, dopo Margareth Thatcher, a presiedere un G8. Dal 2006 al 2019, il magazine Forbes l’ha sempre considerata la prima delle 100 donne più potenti al Mondo, con la sola eccezione del 2010, quando il gradino più alto del podio toccò a Michelle Obama, allora first lady.
‘Mamma’ della Germania e dell’Europa, lei che di figli non ne ha avuti – due invece i mariti: l’attuale è un fisico -, la Merkel, 67 anni, ha un modo di fare e di agire fermo, ma senza arroganze o ruvidità, anche se qualcuno l’ha chiamata ‘la donna di ferro’, con un richiamo al ‘cancelliere di ferro’ Otto von Bismarck; il processo decisionale di Angela, invece, è lento e non sempre lineare. Ma quel che di lei resta nella memoria sono soprattutto decisioni quasi di getto.
Angela è sempre stata una moderata, capace però di impennate: nel luglio 2012, lasciò fare, se non avallò, il ‘whatever it takes’ in difesa dell’euro di Mario Draghi, allora presidente della Banca centrale europea, dopo avere affrontato in modo drastico la crisi e avere messo alle corde la Grecia e quasi imposto un cambio di governo in Italia; all’inizio di settembre del 2015, disse di sì all’ingresso in Germania, da un giorno all’altro, di quasi un milione di profughi siriani, dopo una strage di emigrati su un’autostrada austriaca lungo il confine tedesco; e l’anno scorso, per fronteggiare la pandemia, ha abbassato la guardia del rigore e ha dato l’ok al NextGeneration Ue, un piano che prevede la messa in comune di una fetta di debito e cui sono affidate le speranze di rilancio delle economie europee.
L’Unione avvertirà l’assenza della Merkel, elemento di riferimento nel Consiglio europeo, nei momenti cruciali prossimi venturi, anche perché chiunque le succeda non avrà, ovviamente, la sua esperienza e non potrà neppure avere, all’inizio, la sua influenza. Contrariamente a Kohl, che visse l’esperienza di cancelliere quasi in simbiosi con quella da presidente del socialista francese Francois Mitterrand, la Merkel ha dovuto collaborare con quattro presidenti francesi, Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy, François Hollande ed Emmanuel Macron: l’asse franco-tedesco è stato, quindi, meno coeso in questo primo quinto di XXI Secolo di quanto non lo fosse nell’ultimo quinto del XX Secolo.
E, come accadde per Kohl, anche la Merkel potrebbe essere bocciata dagli elettori all’uscita di scena: i sondaggi danno il suo partito cristiano-democratico-sociale Cdu-Csu, sconfitto dai socialdemocratici della Spd. “In Germania, più precisamente da Amburgo, soffia il Vento del Nord”scrive su AffarInternazionali.it Federico Niglia. Il leader dell’Spd Olaf Scholz è la vera novità delle ultime battute della campagna elettorale: è riuscito a fare risorgere la socialdemocrazia tedesca che da anni languiva, superata a sinistra dalla Linke e dai Verdi ed erosa dalle tattiche di Merkel, che spesso faceva proprie le campagne socialiste.
L’Unione senza la Merkel andrà a fondo?, sbanderà? La Mutti è stata un’europeista costante, ma tiepida: mai una trascinatrice, spesso frenata dalla sua opinione pubblica e, sulla scena europea, dai rigoristi che oggi si chiamano ‘frugali’; e anche incapace, o impossibilitata per i vincoli dell’unanimità, di superare gli egoismi e i sovranismi dei Paesi di Visegrad, cui è pure capitato che desse disgraziatamente manforte l’Italia. Ma, certo, l’Ue dopo la Merkel attraverserà una fase di leadership più incerta e fragile: il successore di Angela dovrà ‘farsi le ossa’; e il presidente francese Emmanuel Macron penserà più all’appuntamento elettorale del maggio 2022 che ai dossier europei.
Potrebbe essere il momento, e l’occasione, per azzardare un’Europa a guida italiana: per la prima volta da un decennio, il premier giusto lo abbiamo, Mario Draghi; ma il rischio è che l’armata brancaleone della sua maggioranza, dove populisti e sovranisti si sono messi una maschera da europeisti per starci dentro, mini la credibilità dell’uomo e del Paese.