Nell’imminenza del Vertice europeo a Bruxelles il 28 e 29 giugno, facciamo un punto sull’Unione pubblicando estratti dell’articolo scritto da Gianni Bonvicini su AffarInternazionali.it. Bonvicini, già direttore e vice-presidente dell’Istituto Affari Internazionali, è uno dei maggiori esperti italiani dei processi d’integrazione europea.
“Quando era stato programmato, più di un anno fa, il Consiglio europeo di fine giugno sembrava destinato a marcare una svolta radicale nel consolidamento del ‘governo’ dell’Eurozona. Il tempo trascorso fino ad oggi doveva servire a riavviare il ‘motore’ franco-tedesco sulla base delle visionarie proposte preannunciate da Macron alla Sorbona (settembre 2017) e dopo che la Germania era faticosamente riuscita a ridarsi un governo di grande coalizione.
Questo tema è ancora ufficialmente sul tavolo del Consiglio, come testimoniato dal recente incontro Merkel/Macron a Meseberg; ma, a parte le reticenze di diversi Paesi, guidati dalla sempre più problematica e ostile Olanda, sulle proposte suggerite dai due leader (bilancio dell’Eurozona, fondo monetario europeo, ecc.), la questione centrale non è più l’economia, ma le politiche europee sulle migrazioni.
Non è solo un problema italiano o greco o spagnolo, ma esso tocca direttamente la stessa Germania, la Francia ed altri Paesi del Nord Europa, per non parlare poi di quelli del Gruppo di Visegrad. L’immigrazione non è un argomento nuovo per i 27 dell’Ue. Ben cinque presidenze di turno consecutive hanno cercato di proporre compromessi per accomodare le diverse visioni e percezione di un fenomeno chiaramente strutturale: tutte hanno fallito.
Nodi al pettine quando l’economia va meglio
Ed ecco che i nodi vengono al pettine proprio nel momento apparentemente meno prevedibile. Sul fronte economico, infatti, la crisi dei debiti sovrani sembra in via di superamento, dopo la concessione dell’ultima tranche di prestito alla Grecia, e nel resto dell’Ue l’economia va un po’ meglio che negli anni passati. Allo stesso tempo sul fronte dell’immigrazione stiamo assistendo ad un calo consistente degli arrivi via mare: nei primi cinque mesi di quest’anno il totale degli sbarchi si assesta su circa 26mila migranti, con una diminuzione notevole rispetto ai 50mila dell’anno precedente; per non parlare dei 200mila del 2016, sempre nello stesso periodo.
E allora, per quali ragioni si assiste a un così parossistico allarmismo sull’immigrazione, non solo da noi, ma anche nel resto dell’Unione? Le ragioni sono diverse. La prima che il tema dell’immigrazione clandestina è diventato un tema politico prioritario sia in Italia che, inaspettatamente, in Germania. Da noi l’azione muscolare del ministro dell’Interno Matteo Salvini crea uno stress a livello di governo e di opinione pubblica che non si era mai visto nel nostro Paese, neppure ai tempi della crisi dell’Euro.
L’incidenza dell’immigrazione sulle politiche interne
Ragioni elettoralistiche e di equilibri di potere dentro il governo sembrano prevalere sulla realtà dei fatti: di fronte cioè agli effetti positivi (il drastico calo degli sbarchi) delle decisioni del precedente ministro dell’Interno Marco Minniti. In Germania, come è noto, è un altro ministro dell’Interno, Horst Seehofer,a portare in primo piano il tema dell’immigrazione, questa volta sul tema dei richiedenti asilo che entrano in Germania dalSsud dell’Europa. Ma anche in questo caso la questione è più di lotta di potere fra il boss della Baviera, Seehofer, e l’indebolita cancelliera Angela Merkel.
In altre parole, il tema dell’immigrazione è essenzialmente un fattore prioritario di lotta politica nazionale ed è proprio questa sua caratteristica a trasformarlo in un elemento di disgregazione nell’UE. Ogni Paese, dall’Ungheria all’Olanda, dalla Spagna alla Svezia, guarda più agli effetti politici interni che alle conseguenze di questa cacofonia nazionalistica sul futuro della coesione dell’Ue.
Lo si è visto ancora una volta nel caos delle rivendicazioni e proposte portate nell’ambito del mini-summit di domenica a Bruxelles, che nelle intenzioni di Junker e della Merkel doveva creare un clima favorevole alle decisioni da prendere nel Consiglio europeo successivo.
L’effetto della mancanza di strumenti di governo dell’immigrazione
Proprio dall’esame di questi episodi si intuisce quale è la debolezza di fondo della politica di immigrazione dell’Ue: la quasi totale mancanza di strumenti di ‘governo’ di questo fenomeno e il ritardo con cui si è costretti ad intervenire dall’inizio della crisi migratoria nel 2015 (la rotta balcanica) ad oggi. Paradossalmente, al suo confronto le difficoltà dell’Euro sono state di gran lunga inferiori, sia per la presenza di criteri e di meccanismi di convergenza sia per l’azione di un vero strumento di ‘governo’, la Banca centrale europea.
Nel campo dell’immigrazione abbiamo un pessimo accordo di Dublino, una pseudo-guardia di frontiera, una debole missione navale comune e pochi aiuti per l’Africa. Difficile quindi governare un fenomeno complesso come quello dell’immigrazione senza istituzioni e politiche europee appropriate. …
… Il tema quindi, al di là delle polemiche sui populismi e sovranismi, che pure campano e fioriscono su queste problematiche, rischia davvero di mettere a repentaglio il futuro dell’Ue. Temiamo infatti che si avveri la profezia di alcuni studiosi nel dire che l’Ue non crollerà sull’Euro, ma potrà liquefarsi sull’immigrazione.
Non vediamo purtroppo un soprassalto di consapevolezza e volontà di affrontare radicalmente questo problema nel prossimo Consiglio europeo: già si parla di rinvio delle decisioni in autunno sotto presidenza austriaca. Ma procrastinare le decisioni rischia di complicare ulteriormente le cose: la lezione dell’Euro e del ritardato intervento nel caso greco dovrebbero costituire un campanello d’allarme. Però sembra che nessuno abbia orecchie per sentirlo”.