Malgrado l’instabilità politica, la produzione petrolifera africana aumenta a ritmi stupefacenti e si moltiplicano le scoperte di giacimenti. Ma uno sviluppo duraturo necessita di Stati solidi e pace sociale

La produzione petrolifera conosce uno sviluppo spettacolare in Africa e nei prossimi anni gli investimenti dovrebbero continuare a crescere, anche se alcune regioni del continente restano caratterizzate da instabilità politica. Ghana, Costa d’Avorio, Mauritania, Ciad, Sud Sudan, Uganda. In questi ultimi anni, il gruppo dei Paesi produttori di petrolio ha continuato ad ampliarsi. Dalla scoperta in Ghana del campo Jubilee ad opera della compagnia Tullow Oil nel 2007, le perforazioni si sono moltiplicate, soprattutto nel Golfo di Guinea. Nel dicembre del 2011 l’americana Vanco, l’ivoriana Petroci e la russa Lukoil hanno annunciato la scoperta di un giacimento al largo di Abidjan (capitale economica della Costa d’Avorio), a quasi 1.700 metri di profondità.

Lungo tutto il Golfo di Guinea, dall’Angola alla Costa d’Avorio, le scoperte di immensi giacimenti si sono moltiplicate, soprattutto in acque profonde (a partire da 1.500 metri). Da qui al 2016, l’offshore dovrebbe rappresentare il 30 percento della produzione mondiale. Secondo la rivista “Jeune Afrique”, da qui al 2016, il continente nero potrebbe accogliere quindi il 30 percento degli investimenti nell’offshore (vale a dire oltre 50 miliardi di euro).

Secondo l’Istituto francese del petrolio e delle energie alternative (IFPEN), dei 1.300 pozzi sottomarini programmati nel mondo tra il 2011 e il 2015, 374 sono già stati perforati  in Africa nel solo 2011. Dall’Angola alla Somalia, passando per la Mauritania e il Mozambico, l’acquisizione di blocchi offshore si moltiplica. Sempre secondo l’IFPEN, per quanto concerne il numero di realizzazioni di piattaforme fisse, la quota dell’Africa dovrebbe passare dall’8 percento del 2011 a oltre il 15 percento nel 2016. In tema di infrastrutture sottomarine, la quota dell’Africa sullo scacchiere mondiale dovrebbe passare dal 18 al 24 percento nello stesso periodo. Anche il Mali del Nord, dove sta prendendo piede l’islamismo radicale, potrebbe possedere importanti riserve di petrolio e gas.

Perché ora?

Quali sono le ragioni alla base di questa rapida accelerazione nella scoperta di nuovi giacimenti? Per decenni la ricerca è stata ostacolata dall’instabilità politica dell’Africa. Un Paese come il Ciad è stato teatro di diversi colpi di Stato e di una guerra con la Libia nel 1987. In Ciad, il petrolio viene sfruttato solo dal 2003.

Quali sono le ragioni alla base di simili scoperte nel continente? Il rialzo delle quotazioni del petrolio e la ricerca di nuovi Paesi produttori al fine di diminuire la dipendenza dal Medio Oriente, giudicato instabile, hanno spinto le compagnie petrolifere a investire di più in Africa. Gli investimenti nel settore petrolifero africano sono iniziati da oltre cinquanta anni in alcuni Paesi del continente, soprattutto in Nigeria. Il Paese più popoloso d’Africa conta 170 milioni di abitanti e dovrebbe ospitarne più di 300 milioni nel 2050. È il primo Paese produttore di petrolio dell’Africa sub-sahariana, con oltre 2 milioni di barili al giorno. Membro dell’OPEC, il “gigante d’Africa” è l’ottavo esportatore mondiale.

Il modello nigeriano.

Questo Paese è stato a lungo considerato uno dei migliori esempi africani della sindrome della “dutch disease”  o maledizione del petrolio. In che modo la scoperta di grandi ricchezze energetiche ha potuto condurre al depauperamento delle popolazioni del Delta del Niger? Ciò è dovuto al fatto che lo sfruttamento petrolifero e la manna finanziaria che ne deriva si traducono nell’abbandono di altre attività che fino a quel momento rappresentavano la ricchezza del Paese. Orbene, cinquanta anni fa, prima che lo sfruttamento petrolifero cominciasse, la Nigeria possedeva una potente industria agroalimentare. Nello specifico, era uno dei primi Paesi produttori di cacao dell’Africa. Un altro spettacolare esempio di cattiva gestione della ricchezza petrolifera è rappresentato dal fatto che la Nigeria deve frequentemente importare petrolio a causa del malfunzionamento delle proprie raffinerie. Il Paese ne possiede diverse sia a Nord che a Sud della Federazione. Ha investito miliardi di dollari nella costruzione e rinnovamento delle proprie raffinerie che, tuttavia, non sono soddisfacenti. Nelle stazioni di servizio di Lagos, Kaduna, Ibadan o Kano la benzina si esaurisce regolarmente. I nigeriani sono quindi obbligati ad acquistarla al mercato nero. Un business estremamente lucrativo per i maggiorenti del regime. Il contrabbando di benzina fa vivere decine di migliaia di persone in Nigeria, così come nei Paesi confinanti (Benin, Niger, Ciad e Camerun). La benzina “kpayo” (di contrabbando) viene venduta alla luce del sole nelle vie di Cotonou, la capitale economica del Benin. Le autorità beninesi non hanno mai potuto opporsi alle potenti lobby che controllano queste attività. Il più delle volte, solo i funzionari muniti di buoni d’acquisto “di benzina legale” frequentano i “depositi di benzina” legali. Per via del moltiplicarsi di reti parallele di distribuzione, è particolarmente difficile conoscere con precisione la produzione petrolifera della Nigeria. Tanto più che talune navi cisterna vengono noleggiate senza che le autorità nigeriane ne siano informate.

Le crisi politiche non hanno fermato la produzione.

Con l’eccezione degna di nota del Ghana (Paese che ha conosciuto due alternanze politiche pacifiche), i Paesi produttori hanno quasi tutti vissuto crisi politiche violente. Eppure, per la maggior parte del tempo, queste crisi non hanno impedito il proseguimento dello sfruttamento petrolifero. Anche durante i momenti più cruenti della guerra civile che ha devastato la Repubblica del Congo nel 1997, lo sfruttamento petrolifero è continuato a Pointe-Noire, la capitale economica di questa ex colonia francese.

È vero del resto che nella Repubblica del Congo, come nella maggior parte dei Paesi africani, la produzione si sposta verso l’offshore (più di 500 metri) e l’offshore in profondità (più di 1.500 metri). Il perfezionamento delle tecniche di esplorazione ha permesso lo sviluppo dell’offshore, che offre il vantaggio di mettere lo sfruttamento petrolifero al riparo dalle tormente politiche. Lo sviluppo dell’offshore ha inoltre permesso ad altre compagnie di inserirsi pesantemente nel mercato africano. La brasiliana Petrobras, che ha fatto le prove in materia nel proprio Paese d’origine, è divenuta, ad esempio, un partner imprescindibile per le autorità locali in Angola. Il rialzo delle quotazioni al barile, destinato a quanto pare a durare nel tempo, ha convinto numerose compagnie ad autorizzare costosi investimenti nell’offshore. Le compagnie occidentali non hanno più il monopolio dello sfruttamento petrolifero e i dirigenti africani possono mettere in concorrenza le compagnie asiatiche, europee, americane e latino-americane. Questa strategia è particolarmente conveniente in Angola: le autorità di Luanda mettono in concorrenza una moltitudine di compagnie. Secondo produttore petrolifero del continente, l’Angola potrebbe largamente superare la Nigeria con il bacino in acque profonde di Kwanza, per il quale 13 compagnie hanno ottenuto il permesso di esplorazione.

Le ex colonie francesi non sono più il monopolio delle compagnie francesi, soprattutto dalla sparizione di ELF (compagnia molto legata allo Stato francese) e dalla sua fusione con Total nel 2000. La compagnia francese Total conserva interessi importanti nell’Africa francofona, soprattutto in Gabon, anche se rivolge sempre più la propria attenzione all’Angola e alla Libia. Le compagnie cinesi sono riuscite in un’impresa considerevole, soprattutto in Nigeria e Angola.

Altamente strategico per gli Stati Uniti

Anche gli Stati Uniti intendono ampliare la loro influenza in tutto il Golfo di Guinea al fine di diversificare le loro fonti di approvvigionamento e di essere meno dipendenti dal Medio Oriente, zona particolarmente instabile, soprattutto per via della crisi siriana e degli effetti della “primavera araba” proprio ora che si profila la prospettiva di un conflitto con l’Iran.

Il petrolio del Golfo di Guinea è molto più vicino agli Stati Uniti. È di ottima qualità. E anche quando un Paese come la Nigeria è vittima di gravi conflitti etnico-religiosi, la produzione petrolifera non viene minacciata.

La setta islamista boko haram (l’istruzione occidentale è un peccato in lingua hausa) imperversa nel Nord musulmano, ma non ha alcuna influenza sul Sud cristiano, regione nella quale si trovano le risorse petrolifere. Persino un’eventuale divisione della Nigeria non minaccerebbe la produzione petrolifera.

Sotto molti aspetti, la continuità dell’approvvigionamento in oro nero del Golfo di Guinea sembra meno difficile da garantire che non quella del petrolio proveniente dal Vicino Oriente. Già ora, più del 20 percento delle importazioni americane di petrolio proviene dall’Africa. Washington intende aumentare questa percentuale. L’amministrazione americana intrattiene rapporti eccellenti con il Presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan.

Cristiano, originario del Delta del Niger, sembra essere un interlocutore ideale per assicurare la continuità della produzione.  Il suo accesso al potere è stato ampiamente sostenuto da Olusegun Obasanjo, ex presidente molto vicino al mondo degli affari e agli Stati Uniti.

A rigor di logica, nei prossimi anni, le compagnie americane aumenteranno i loro investimenti nel Golfo di Guinea. Tanto più che l’aumento di potere della Cina si fa sempre più sentire e che le rivalità tra Pechino e Washington per il controllo delle materie prime e delle energie africane non fanno che aumentare.

Gli europei non sono da meno: Total e Eni rafforzano la loro posizione in Libia, ma anche in Africa australe. Total ha scoperto nuovi giacimenti estremamente promettenti in Angola. Dal canto suo, in ottobre del 2011, Eni ha annunciato la scoperta di un giacimento in Mozambico che potrebbe produrre l’equivalente di 300.000 barili di petrolio al giorno nel 2016.

Il possibile sfruttamento del gas di scisto alimenta anche la propensione europea, tanto più che questo sfruttamento sembra essere difficile nel vecchio continente. In Francia, ad esempio, i progetti di sfruttamento del gas di scisto sono stati rimessi in discussione in seguito alla mobilitazione delle popolazioni locali che temono conseguenze ambientali.

Uno sviluppo spettacolare malgrado l’instabilit

La produzione di petrolio in Africa dovrebbe conoscere uno sviluppo spettacolare nel corso del prossimo decennio. Tuttavia le compagnie dovranno individuare dei partner locali che garantiscano una forma di “pace sociale”, procedendo a una ripartizione più equa dei proventi del petrolio, al fine di evitare il moltiplicarsi di incidenti diplomatici.

Il 12 ottobre, il vescovo di Doba (Ciad), Michel Russo, è stato espulso. Si era detto sorpreso, durante un sermone, della cattiva ripartizione della manna petrolifera e del fatto che gli abitanti di Doba non potessero beneficiare di un approvvigionamento costante di elettricità. Contrariamente alle promesse che aveva fatto all’Unione Europea, il regime di Idriss Déby non ha destinato gran parte degli utili derivanti dai fondi del petrolio allo sviluppo delle regioni locali.

Una politica che potrebbe rivelarsi pericolosa a lungo termine, dal momento che potrebbe essere causa di disordini e minacciare la regolarità della produzione. Essa potrebbe inoltre minare l’immagine delle compagnie che sfruttano il petrolio. Ben consapevoli del pericolo, le compagnie occidentali hanno modificato il loro approccio alla questione africana assolvendo compiti che in Occidente sono normalmente di competenza degli Stati, quali la costruzione di scuole od ospedali. Queste iniziative permettono di evitare la diffusione di sentimenti antioccidentali.

Al fine di poter sfruttare un giorno le risorse petrolifere del continente, le compagnie avranno tutto l’interesse a che si sviluppi una pace sociale. Tuttavia, perché questo accada, dovranno poter negoziare con Stati solidi. Lo sviluppo del settore energetico passa anche attraverso l’aumento di potere di Stati che esercitano pienamente le loro funzioni regie: Stati che siano anche in grado di assicurare la pace sociale. Solo allora l’Africa potrà diventare un eldorado petrolifero.

Pierre Cherruau

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