Trump 47° presidente

Donald Trump sarà il 47o presidente degli Stati Uniti: il 20 gennaio 2025, tornerà alla Casa Bianca per un secondo mandato. Prima di lui, solo il democratico Grover Cleveland era riuscito a essere rieletto dopo essere stato battuto tra un mandato e l’altro dal repubblicano Benjamin Harrison: uomini e storie del XIX Secolo. Prima di lui, mai nessun “convicted felon”, criminale condannato, era stato eletto.

Il successo di Trump è stato netto, più di quanto ci s’attendeva. Il magnate ha largamente superato la soglia dei 270 Grandi Elettori necessari per conquistare la Casa Bianca, ha vinto in tutti gli Stati in bilico e ha vinto il voto popolare, che aveva sempre perso, sia nel 2016, quando era stato eletto, superando Hillary Clinton, sia nel 2020, quando era stato battuto da Joe Biden.

Adesso, per gli Stati Uniti si apre un periodo anomalo, potenzialmente insidioso, di dieci settimane di vuoto di potere: una Casa Bianca che da debole diventa debolissima, con un presidente a fine corsa e una vice già ‘licenziata’ dal voto, mentre il nuovo presidente prepara la sua squadra e perfeziona le liste di proscrizione già stilate di funzionari da estromettere.

Le reazioni del Mondo alla rielezione di Trump, che pochi leader davvero auspicavano sono state formali e ingessate: l’Ue, la Nato e i leader dei 27 celano il timore di guerre dei dazi e disimpegno dietro dichiarazioni di disponibilità a lavorare insieme -; Russia e Cina ostentano indifferenza; Iran e Mondo arabo restano sulle loro. Fanno eccezione il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che è un Grande Elettore di Trump, il premier ungherese Viktor Orban, che gli offre una sponda europea, e il presidente argentino Javier Milei, l’uomo della motosega, che si propone come gauleiter nell’America Latina.

Sul fronte internazionale, l’effetto a breve dell’esito di Usa 2024 è difficile da prevedere: la guerra in Ucraina potrebbe restare congelata, come di fatto è da mesi; il conflitto in Medio Oriente potrebbe, invece, conoscere nuove turbolenze. Dopo l’insediamento di Trump il 20 gennaio, invece, il 47° presidente cercherà di tradurre in pratica un suo slogan: “Io le guerre non le comincio, le faccio cessare”.

Usa 2024: una notte elettorale più breve del previsto
Nella notte tra martedì e mercoledì, tutto accade in tempi molto rapidi. Alle sette del mattino italiane, l’una di notte sulla East Coast, la rivale di Trump, la vice-presidente Kamala Harris, candidata democratica, è già fuori gioco. I seggi non si sono ancora chiusi in Alaska e alle Hawaii, ma l’inerzia della serata è ormai irreversibile: Trump vince gli Stati rossi più nettamente di quanto non aveva fatto in passato; e negli Stati blu perde in modo meno netto che in passato ed arriva persino a contendere il successo in Virginia e in Minnesota.

Gli Stati in bilico, sette, North Carolina e Georgia al Sud, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin intorno ai Grandi Laghi, Arizona e Nevada all’Ovest, virano abbastanza rapidamente al rosso, anche se la certezza viene acquisita solo a tarda notte, la mattina italiana, quando Trump fa il discorso della vittoria senza aspettare che Kamala riconosca la sconfitta.

Dell’onda trumpiana, traggono profitto i repubblicani che conquistano la maggioranza al Senato, strappando ai democratici almeno tre seggi, in West Virginia, in Montana e nell’Ohio, e che sembrano mantenere, se non allargare, la maggioranza alla Camera – i conteggi non sono ancora terminati -. Forse per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, viene a mancare il bilanciamento dei poteri voluto dai Padri fondatori: il potere esecutivo e quello legislativo sono nelle mani di un solo partito, anzi di un sol uomo; e il potere giudiziario, rappresentato dalla Corte Suprema, gli è già acquisito e lo ha anzi aiutato in questa sua terza corsa alla Casa Bianca.

Un boato, applausi e i cori: “Usa, Usa, Usa”. Al centro congressi di Palm Beach dove la campagna di Trump ha organizzato il suo presidio, la festa parte con la vittoria nella North Carolina. Quando anche la Georgia si tinge di rosso, la strada è spianata per il ritorno del magnate alla Casa Bianca. Elon Musk, il generoso sostenitore dell’ex presidente, esulta su X: “Game, set and match”, gioco, partita e incontro.

E quando i grafici di tutti i media mostrano frantumarsi il ‘muro blu’ di Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, la candidata democratica perde ogni via di recupero e successo. Il gelo cala fra i suoi sostenitori riuniti alla Howard University, a Washington DC, lo storico ateneo tradizionalmente afro-americano e Alma Mater della vice-presidente, dove la sua campagna sperava di festeggiare l’elezione della prima donna presidente degli Stati Uniti. Invece, come accadde per Hillary Clinton nel 2016, la festa salta e il soffitto di cristallo ancora non si infrange.

Trump conquista il voto popolare con oltre il 51% dei suffragi, contro oltre il 47 % di Harris. Non accadeva, per i repubblicani, dal 2004, con George W. Bush. Il dato è ancora provvisorio.

Nella rotta democratica, c’è anche il flop del referendum sull’aborto in Florida: resta in vigore, quindi, il divieto per le interruzioni di gravidanza dopo le sei settimane. L’”emendamento 4″, che avrebbe esteso il limite a 24 settimane, non raggiunge il quorum richiesto del 60%. Il governatore della Florida, il repubblicano Ron DeSantis, marca una vittoria: era infatti contrario all’estensione dei termini.

I democratici devono contentarsi delle conferme di qualche ‘grande vecchio’: l’ultra-ottantenne Nancy Pelosi è rieletta alla Camera in California – come accade ininterrottamente dal 1987 -; e l’altro ultra-ottantenne, Bernie Sanders, si conferma senatore del Vermont. Seggio confermato anche per la giovane deputata Alexandria Ocasio-Cortez, leader della sinistra, rieletta a New York.

Sono le due del mattino passate, le otto del mattino in Italia, quando Trump con tutta la famiglia sale sul palco del Convention Center di Palm Beach: ci sono Melania e tutti i figli, inclusa Ivanka con il marito Jared Kushner. “Questa è una magnifica vittoria che ci consentirà di rendere l’America di nuovo grande… Questo è un movimento mai visto prima, questo è il più grande della storia… Aggiusteremo tutto… Io non inizio le guerre, le faccio finire…“.

E via con i ringraziamenti, alla moglie, al suo vice JDVance che lo esalta (“Il più grande ritorno politico nella storia americana”), a Musk che posta un razzo che decolla e assicura “Il futuro sarà fantastico”.

 

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.