La futurologia è sempre stata una sorta di semiscienza incerta e densa di previsioni qualche volta sbagliate del tutto e altre, la maggioranza, sfasate nel tempo. Che è il cruccio irrisolto delle filosofie, e tuttavia incombe inesorabile. Tra le previsioni errate si ricorda, verso la metà degli anni ottanta (ovviamente del secolo passato), l’enfatica presentazione del “videotel”, che doveva dischiudere il rapporto ante litteram tra televisione e telefono. Ma ben pochi ne sentivano l’esigenza. Al contrario, si sviluppò vorticosamente il fax, cui nessuno all’università di Toronto, pare neppure il mitico McLuhan, dava due soldi. Eppure, chi non ha usato il fax nel villaggio globale? E Armand Mattelart ci insegna che le “scoperte” sono più dei fiumi carsici che un improvviso “eureka!”. Figuriamoci, allora, se è immaginabile un’analisi predittiva che abbia come orizzonte il lontano 2020. Dubitiamo degli analisti che ci intrattengono con altrettante analisi. Valga il principio della cautela. In fondo è un ecosistema. Tuttavia, piuttosto che discettare sull’irresistibile ascesa di qualche ircocervo mediatico, è più utile suggerire un metodo di riflessione, con qualche presupposto. Il criterio che ci dovrebbe animare ha a che fare con la fine del “primo movimento” immaginato da Gramsci – lo spirito di “scissione” – per entrare in quello successivo, l’egemonia. E infatti il vero argomento della previsione riguarda proprio la transizione ormai molto avanzata dalle nuove tecnologie intese come avanguardia e “rottura”, alla normalità dell’universo digitale. Al definitivo mutamento del paradigma produttivo, sociale, culturale. Conclusa l’era del fordismo e – chissà – attenuatesi le conseguenze devastanti sulla crisi del ciclo e sul lavoro, prevarrà più compiutamente la società della e in Rete. Si tratta, per dirla con Castells, della struttura sociale costruita intorno a reti digitali di comunicazione. Un digitale finalmente affrancato dalla sudditanza coercitiva verso il mezzo televisivo, bensì lingua (software aperto?) dell’universo cognitivo, della trama delle aggiornate relazioni sociali, immerse in forme di coscienza e di consumo affatto diverse da quelle del mercato di massa generalista. Sono alcuni dei presupposti del prossimo futuro, che in realtà è già oggi, ma da “non nativi” digitali non ci accorgiamo della rivoluzione permanente. Guardare una bambina o un bambino delle scuole primarie per credere. O i videogiochi, o il computer acceso, sempre più proiezione del proprio cervello. Dopo la fase elettrica, quella cognitiva, verso l’informatizzazione quantica. Robotica, comandi non più manuali, “multimodalità”, crossmedialità, nanotecnologie e miniutarizzazione, nuovi materiali, intelligenza artificiale. Le tecniche parte della “biopolitica”. Ma senza un’ora X, tante ore X, nel modello a rete. Sarà l’epifania dell’“estremismo” proprietario, della concentrazione del potere o una “postdemocrazia” partecipativa immersa in un nuovo spazio pubblico comune? Un aggravamento del divario digitale o un passo avanti della e nella diffusione dei saperi? Saranno Google o Microsoft o Mediaset e Murdoch a detenere i lucchetti della conoscenza o la sfera pubblica, rinnovata e reimpostata in un’evoluta accezione del servizio universale: neutralità della Rete, software aperto, banda larga per tutti? Tra dieci anni non avremo qualche anno in più. Ma un peso del tempo di dieci anni di meno. Sarà vero?

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