Imperi a confronto, con le loro forze, le loro debolezze – il welfare?, davvero! – e i loro ‘social network’: quello di ‘panem et circenses’, e magari graffiti sui muri,  l’Impero romano, e quelli dei giorni nostri, Facebook e Twitter e compagnia bella, l’Impero americano. Raccontata così, sembra un patchwork, più che una trama. E, invece, è la ricetta editoriale de ‘Il welfare state nell’Antica Roma’: una storia sapida dello ‘stato sociale da Augusto a Obama’ che Ennio Caretto racconta da giornalista, cioè in modo accattivante e svelto, in un volume appena uscito dagli Editori Internazionali Riuniti (251 pagg, 19 euro).

Lo spunto del volume è la tesi, un po’ pretestuosa e molto ideologica, dei ‘neo-cons’ americani (le ‘teste d’uovo’  dietro tutti i disastri dell’Amministrazione Bush), secondo cui l’eccesso di welfare mina, oggi, l’Impero americano così come l’eccesso di welfare avrebbe a suo tempo condannato l’Impero Romano. Tesi che, al solo sentirla, fa sobbalzare: eccesso di welfare, dove?, nella Roma imperiale dove c’erano miriadi di schiavi e dove chi non era cittadino di diritti ne aveva pochi?; o nell’America 2000, dove scuola, intesa come Università, pensioni e sanità sono più privilegio di chi può permettersele che diritto per tutti (in attesa che entri in vigore l’Obamacare)?

E, infatti, Caretto ricorda che la responsabilità delle politiche sociali nella decadenza dell’Impero romano fu marginale: la loro portata, magari sorprendente per l’epoca, rimase globalmente modesta, così come non superarono un livello embrionale i loro meccanismi, con nicchie d’eccezione – ad esempio, i legionari -. Anche se, nel capitolo finale di questo suo ultimo libro, riconosce: “Come Roma nella Tarda Repubblica, così l’America di un secolo fa chiedeva […] lo stato sociale. Non c’è popolo nella storia che non lo abbia chiesto prima o poi”.
Le cause della decadenza di Roma furono ben altre: le spese militari, la crisi dei latifondi (III secolo d.C.), la corruzione, le invasioni barbariche. E quelle dell’America, oggi, hanno radici nella distanza tra ragioni della finanza ed esigenze dell’economia reale, o nell’impatto della globalizzazione. E se proprio vogliamo trovare un senso alle preoccupazioni dei conservatori, esse sembrerebbero valere molto più per l’Italia, e l’Europa, che per l’America. Ma, come nota Caretto, ci sono pure differenze: “Nella Roma della Repubblica e del primo Impero, la ricchezza era la scorciatoia al potere politico, in Italia, il potere politico è la scorciatoia alla ricchezza”.

Caretto è giornalista di grande esperienza e di fine sensibilità. E’ stato a lungo corrispondente dall’estero, da Londra, da Bruxelles, soprattutto dagli Stati Uniti, oltre ad avere diretto Stampa Sera: su La Stampa, la Repubblica, il Corriere della Sera, ha raccontato, ed ancora racconta, l’America agli italiani. Ed è stato pure, per molti anni, collaboratore di Media Duemila.

Il suo libro racconta le condizioni del welfare nell’antica Roma, in particolare durante uno dei suoi momenti migliori, il II secolo d.C., l’epoca dei ‘buoni imperatori’: Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio. Ne emerge un sorprendente quadro di quello stato sociale, così sviluppato da anticipare tratti di quelli attuali: oltre al sostentamento, alla sanità e all’istruzione garantiti dallo Stato (per i soldati era prevista perfino una sorta di pensione), Roma conobbe, sia pure in forme iniziali, sindacati, dibattito sui diritti umani, ecologia e femminismo.  

Il volume, scritto con uno stile chiaro e semplice, è scorrevole e piacevole alla lettura. Ad impreziosirlo, ci sono poi citazioni di autori antichi (tra gli altri Cicerone, Tacito, Plinio il giovane), spesso in contrappunto con opinioni di esperti e storici contemporanei. Come le gustose ricostruzioni della vita quotidiana nell’Impero romano si prestano a confronti significativi confronti con i tempi nostri. Che non sempre ne escono bene, in America o qui da noi.

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